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30 January 2006

Munich - Film controverso, ma da non perdere

Ieri sera (ndr: domenica 29 gennaio) ho visto "Munich", il film di  Steven Spielberg più criticato di tutta la  sua produzione cinematografica. Nei giorni precedenti avevo letto sul Foglio il commento dell'editorialista Max Boot (29 dicembre 2005),  quello di Rabbi Benjamin Blech sul blog Liberali per Israele e altre recensioni cinematografiche di critici italiani.
Tesi politiche e cinema, arte e ideologia, hanno sempre rappresentato un matrimonio assai difficile da combinare. Esistono film che propugnano tesi politiche veritiere e condivisibili, ma che poi risultano esteticamente brutti. Viceversa, ci sono stati film con tesi ambigue e pressoché inaccettabili, ma belli. Qualche esempio? Nel primo caso, "L'uomo di ferro" di Andrzej Wajda (1981),  dedicato ai giorni di Solidarnosc e alla figura di Walesa - un mediocre dramma politico di stampo apologetico che merita il pollice verso.  Nel secondo caso,  "Cognome e nome: Lacombe Lucien" di Louis Malle (1974), film bellissimo ma considerato "collaborazionista"  e che fa a pezzi il mito della Resistenza francese.
Ma torniamo a Monaco 1972. Il film inizia con l'agghiacciante flash back della strage degli 11 atleti israeliani sotto gli occhi di tutto il mondo. Dovremmo anche dire, nell'indifferenza di tutto il mondo e principalmente degli organizzatori dell'Olimpiade i quali si sottomisero al diktat di "show must go on". Pesanti, le responsabilità del governo tedesco. E allora che fare? Eliminare i terroristi che avevano organizzato la strage - suprema decisione che fu presa dall'allora primo ministro Golda Meir. Tenuto conto del fatto che Spielberg è democratico, pensavo di  di trovarmi davanti al solito documento edulcorato e politically correct.  Invece mi sono trovata davanti a un film difficile,  duro, amaro,  che riapre con crudezza antiche ferite. Che fa discutere. Anche esteticamente risulta controverso: Paolo Mereghetti, critico del Corriere gli affibbia due stelle (discreto) poiché asserisce che non è né un action movie né un film di riflessione e che finisce con lo scontentare entrambe le aspettative del pubblico;  mentre Maurizio Porro dello stesso giornale, gliene dà quattro: ("Monaco è un bellissimo film, con qualche cadenza sbagliata  e con un finale angoscioso e disarmante"). Pensavo di trovarmi davanti alla solita morale bipartisan dove ce n'è per l'asino e per chi lo bastona, ma neppure per un istante i cinque agenti del Mossad vengono dipinti solo come crudeli sanguinari o semplici belve assetate di sangue. Giustizieri più che assassini, il cui difficle compito è garantire la sicurezza del piccolo stato di Israele. Mentre invece,  è visibile a tutti la furia omicida e indiscriminata del commando di feddayn incappucciati che fa irruzione nel dormitorio degli ignari atleti israeliani. E' visibile a tutti la cinica quanto determinata volontà di voler ottenere da parte terrorista, un impatto mediatico simile a quello che anni più tardi otterrà Bin Laden con gli attacchi e il crollo delle Twin Towers. Così come sono palesi, da parte dei cinque agenti del Mossad i metodi delle  uccisioni "mirate" e "selettive" nei confronti dei pianificatori della strage di Monaco, uccisioni che non devono coinvolgere altre  vittime innocenti (bella la scena in cui il protagonista Avner corre come un pazzo per bloccare l'attentato dinamitardo contro un terrorista arabo, allorché nel suo studio  si aggira la sua bambina di 10 anni). Avner che non viene mai dipinto come un terminator programmato per uccidere, ma che ha dei sentimenti, dei pensieri, delle idee e che vive l'umano conflitto interiore tra il volere una vita da uomo "normale" accanto sua moglie e sua figlia appena nata, e il dover essere sempre sbattuto di qua e di là in quel "nessun dove"  tipico degli agenti segreti, uomini senza nome e senza volto.  Londra, Parigi, Roma, NY,  è sempre la vetrina di un negozio di arredamenti per cucine attirarlo con nostalgia ("Home" di ET). Ma  qui, il telefono ("Phone",  sempre di ET) è una mina che può esplodere.  Come può esplodere il letto col materasso in cui è nascosto un detonatore.  Alieno a sé stesso (quindi ancora una volta ET),  Avner risulta  essere pure nella difficile e criticata scena dell'amplesso con la moglie nella quale scorrono velocemente nella sua mente ormai turbata, i flash-back del suo viaggio nel cuore delle tenebre  e dell'orrore. Eros non può dunque sfuggire a Thanatos.  Ecco  che allora  Avner entra in una fase insonne e paranoica nella quale dubita di tutti e di tutto mettendo addirittura a rischio il suo legame con Israele  dal quale si allontana. Ed è  proprio questo finale ad aver scatenato  (con buone e comprensibili ragioni) i risentimenti di tanta parte dell'opinione pubblica ebraica (americana e israeliana). Concordo, tuttavia, con il commento di Angelo Pezzana su Libero di 29/1:  "Munich" è una riflessione sulla moralità ebraica che vale comunque la pena di vedere,  "per capire le ragioni degli uni e degli altri e scegliere da che parte stare".   Il film  si chiude con  Avner che si incammina nel paesaggio urbano americano dove pensa di mettere in salvo  la sua famiglia  e sé stesso, rifacendosi una vita. Nello sfondo in lontananza, i grattacieli e le due Torri di Mannhattan ancora in piedi con un finale ambiguamente aperto: sarà davvero al sicuro? E sarà questa la nuova frontiera del terrorismo globalizzato di matrice islamica? Il mio voto è tre stelle ***.

24 January 2006

DS e Bolognina bis: meglio un sano ricambio generazionale

L'articolo di Panebianco sulla revisione che i DS dovrebbero operare per
diventare quel partito riformatore alla Tony Blair che ci si aspetta, lascia
aperti alcuni interrogativi. Quando Achille Occhetto fece la sua svolta
alla Bolognina fu sotto la spinta della caduta del muro di Berlino. Ma
non fu una vera e propria rettifica degli errori ed orrori del comunismo.
Abiurare in toto la scelta di campo comunista non fu possibile per la ragione
che lo stesso Panebianco ha spiegato: detto partito nacque da una scissione
del Partito Socialista Italiano, nel 1921 a Livorno (allora si chiamò PCd'I,
cioè Partito Comunista d'Italia). Nel suo nascere c'è quindi la totale presa
di distanza dal riformismo dei Turati e dei Treves. Il resto è storia. I
rapporti tra Togliatti e Mosca nel dopoguerra, si caratterizzarono in Italia
nell'ambigua politica del doppio binario: via parlamentare da un lato, e
politica dell'insurrezione armata nella piazze, dall'altro. Poi, Berlinguer
e la sua via italiana al socialismo con tanto di "compromesso storico" coi
cattolici e socialisti ( una vecchia rispolveratura della teoria gramsciana).
Nei fatti il mitico Enrico non mosse un dito contro i missili SS20 e SS21
puntati sull'Europa, dall'URSS. Mentre invece si ostinava a parlare di
disarmo unilaterale contro gli USA. Di più: lasciarono solo Craxi in questa
battaglia a favore dei missili americani Pershing e Cruise nel nostro
paese e lo osteggiarono.
Negli anni di piombo, sorse la teoria dei "compagni che sbagliano" da
parte della sinistra istituzionale, verso le BR e gruppi affini. Essi si
svegliarono solo quando toccò a loro: l'assassinio di Guido Rossa e di Massimo
D'Antona. Per il resto, la strategia del KGB che stava dietro alle BR era
chiara: destabilizzare il nostro paese spingendolo ad accettare un governo
"frontista" con all'interno i comunisti. Non è un caso che dopo l'assassinio
di Moro, si varò il governo di solidarietà nazionale, con il PCI al proprio
interno. Poi, gradualmente l'impero social-comunista sovietico si sfilacciò
e perse i pezzi: iniziando con la Polonia di Solidarnosc fino alla caduta
del Muro di Berlino nel '89.
Così arriviamo alla Bolognina, a Occhetto e alla sua operazione di facciata,
e a quelle successive di Fassino, che Pseudosauro chiama trasformiste e
gattopardesche. Con quegli stessi uomini del Comitato Centrale, figli ed
eredi di quegli stessi quadri dirigenti del vecchio PCI (vedi D'Alema e
Fassino).
Con le cooperative rosse che mostrano le crepe di un muro che si sgretola
sempre più. Con i manager di "Finanza rossa la trionferà" che cercano di
dare le scalate alle banche e di fare rossa consorteria: coop, Partito,
sindacato, Unipol, municipalismo imprenditoriale, con ogni sorta di facility
e lobbying. No, non basterà una Bolognina2 - La Vendetta. Ma questo, Panebianco
non lo scrive. Per fare un partito di sinistra riformatore, occidentale
e moderno, occorre un ricambio generazionale totale. Poiché gli uomini sono
sempre quelli, con quegli stessi paletti ideologici mentali. Steccati,
oggi diventati coriaceamente, psicologici. Quel che diremmo, un habitus
mentale.

14 January 2006

Quello che le donne della CGIL non dicono

Siamo cooosì ...dolcemente complicate, sempre più emozionate; tanto ci potrai trovare qui... E infatti il corteo è proprio lì nella piazza della Stazione Centrale, pronto a sfilare in Piazza Duomo dove sono previsti le performance di Ottavia Piccolo che duetterà virtualmente con Lella Costa in collegamento a Roma. Poi Maddalena Crippa e Paolo Haendel.
Dalle regioni rosse, 200 pullman organizzati dal sindacato donne, molte delle quali amiche, per una scampagnata fuori porta. Lontane dai fornelli e dai mariti. Ma gli slogan della manifestazione sono quanto di più logoro si potesse sentire: "Siamo qui per riprenderci il diritto di essere sé stesse". "Siamo qui contro il Governo, Ruini e combriccola", "Tremate tremate le streghe son tornate". Sarebbe stato meglio scandire "Le streghe sono invecchiate" e la barricata è assai vetusta e logora. Le bandiere erano le solite: arcobaleno, diessine, rifondarole e pidiccine. Non uno striscione, uno slogan o una parola d'ordine che esprimesse un sussulto di creatività, con l'eccezione forse del titolo "Usciamo dal silenzio". Sì, ma per rompere il silenzio bisogna avere qualcosa da dire e non farlo dire ai vertici della CGIL.
Ma ricapitoliamo. Qualche mese fa ci sono stati episodi di stupri seriali (Deborah di Biella, una ragazzina in Abruzzo, una giovane romena a Milano, una ragazza a La Spezia ecc.). Le donne della CGIL e della sinistra si sono tenute vergognosamente in disparte e non si è visto nessun corteo, nessuna marcia di solidarietà. Della serie "Chi le ha viste"? Ovvio, eravamo ancora lontane dalla campagna elettorale. Ora questa doppia manovra a tenaglia congiunta col PACS day (che fa rima con gay) romano, ha tutta l'aria di un megaspot elettorale. Intanto in Cina esiste una nazistoide campagna di discriminazione femminile nell'aborto selettivo sulle bambine che si pratica dal 1979. Si abbandonano corpicini senza vita sui marciapiedi nell'indifferenza generale: un migliaio di bambine ammazzate all'anno. Ma parlarne significherebbe ammettere che un feto di pochi mesi è "personcina". Come personcina, la neonata. E allora meglio tacere e barricarsi dietro alla 194 (che peraltro nessuno ha intenzione di toccare).
E dell'Iran e delle ragazze 17enni e 19 enni condannate all' impiccagione chi ne parla? Meglio glissare e non far passare il corteo davanti all'Ambasciata iraniana. E degli stupri seriali che si sono moltiplicati dopo una migrazione selvaggia, chi ne parla? Meglio star zitti, altrimenti la CGIL perde un po' di iscritti extracomunitari. Dopotutto sono tessere sindacali.
Tutti in Piazza Duomo, dunque, per collegarsi idealmente con Piazza Farnese a Roma dove il corteo è esplicitamente uno scontro assai poco intelligente tra laici e cattolici con lo slogan "Tutti in Pacs", nei pressi del Vaticano.
Siamo così, è difficile spiegare certe giornate amare, lascia stare... Giornata amara e imbarazzante anche per il Dottor Balanzone. Cioè Romano Prodi che ora dovrà spiegare ai suoi elettori cattolici perche' ha lasciato intendere che avrebbe provveduto a legalizzare le "coppie di fatto". Omo o etero che fossero.

11 January 2006

La Coop sei tu? No, le Coop sono Loro

Loro chi? I DS naturalmente. L'avete visto D'Alema da Vespa lunedi sera (ndr 9 gennaio) quando gli fu chiesto perché mai avesse querelato Ferrara?Rispose che non l'aveva querelato lui, l'ha querelato  il Partito: "un atto dovuto" - ha concluso asciutto. Della serie, le Parti c'est moi.  Alle domande sulla scalata di banca fatta da  Consorte per Unipol, si trinceò con un non so, riguarda il  movimento cooperativo. Ma allora lo slogan la  Coop sei tu; la Coop siamo noi com'è da interpretarsi presso la dirigenza diessina?
E' evidente che la Coop, o meglio le varie Coop che sono circa 46 aderenti Legacoop il cui direttore è Giuliano Poletti,  dispongono di un sistema costruito a "matrioscie"  russe, che si incastra e si inanella l'un l'altro -  sistema che  permette contiguità , ma nei casi ambigui, anche di prenderne le distanze  e di tacciare i loro manager di  "bonapartismo", scaricandoli nei momenti di crisi (il caso Consorte). 
Ma analizziamone la galassia. Esistono cooperative alimentari e agroalimentari legate alla distribuzione nei supermarket (Coop, Conad, Despar, A&O, Sigma, Latte Granarolo, Corticella pastifici, consorzi agrari, ecc) . Ne esistono di edilizie (le edilcoop) che praticano mutui particolarmente  agevolati e vantaggiosi per gli iscritti al Partito (della serie, chi è titolare ha i suoi privilegi - altro che American Express!). Ce ne sono di turistiche, di finanziarie, di assicurative, di agricole.  Ne sono state ideate su modello "agenzia di intermediazione" per allestire eventi "culturali" legati a spettacoli, i quali si appoggiano poi a Enti locali (spesso "rossi" anche questi), e così via. Perfino legate al volontariato no profit e ai paesi del Terzo mondo. 
Le cooperative godono di un agevolato sistema fiscale, perché in origine furono progettate come mutualistiche e non ai fini speculativi. Ma si parla di bei tempi andati, quando c'era il partito di classe coi suoi legami con operai e i lavoratori,  e le coop ne erano, insieme ai sindacati, la cinghia di trasmissione. Oggi il partito di classe non c'è più, ma la cinghia di trasmissione si è via via  trasformata in un  vero e proprio cordone ombelicale che nutre e alimenta la poderosa macchina (stavo per dire da guerra) del partito. Come fosse una simbiotica macchina industriale che foraggia coi suoi utili detassati, quella politica, la quale poi si appoggia a quella finanziaria in un possente blocco oligarchico, unico nel suo genere. Inoltre in un contesto con finalità mutualistiche, che senso ha avere una banca e perseguire fini speculativi? Nemmeno la FIAT ha mai avuto una banca tutta sua. Eppure a sentire Poletti l'altra sera a Porta  a Porta, pareva che senza una loro banca,  le coop non potessero sopravvivere. Se ne è accorto perfino  quel furbacchione di D'Alema, il quale avendo fiutato l'aria brutta che tira, ha preso le distanze dal direttore di Legacoop. Della serie, jamais couché avec.
Ieri Bankitalia ha bloccato l'OPA di Unipol su BNL. Ma certamente ne studieranno un'altra, magari attraverso Monte dei Paschi di Siena, il cui sindaco Maurizio Cenni di Siena  (DS, tanto per cambiare) che insieme alla Provincia controlla la fondazione a capo del 49% sulla MPS, ha rilasciato sul Corriere di sabato 7,  un'intervista al fulmicotone. Detto sindaco  "rosso"  ha aspramente criticato la nuova legge sul risparmio di Giulio Tremonti poiché a suo parere  "lesiva del diritto in generale, ma addirittura contraria ai dettami della Costituzione". Com'è noto, detta legge sul risparmio blocca al 30% i diritti di voto delle Fondazioni nelle assemblee bancarie. E' una buona legge che è piaciuta ai vertici dell'UE e che sbarra l'ingresso ai "cavalli di Troia". Ma il signor sindaco l'ha criticata e l'ha definita "fatta a Roma, ma pensata per Siena".
Si aprirà dunque nel futuro immediato una breccia nella pesante e immutabile cortina di ferro  delle Regioni rosse? E' quel che auspichiamo. Nel novembre '89 è crollato il Muro di Berlino. Anni prima, quello polacco, grazie al Papa e a Solidarnosc. Se vinceranno "loro" è evidente che la legge Tremonti sul risparmio, verrà congelata e resa non operativa. E allora saranno guai.
In Italia esistono ben 4 regioni "murate vive" (Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Umbria) dove il paesaggio è paesaggio "blindato", irrespirabile - spiritualmente e culturalmente pervaso dal pensiero unico. Quattro regioni-feudo e altrettanti comuni e province disseminati per la Penisola.  Paesaggio composto da uomini politici e amministratori "rossi",  legati da solidi cordoni ombelicali col mondo delle coop, delle banche, delle Confindustrie locali, delle fondazioni, delle giunte regionali e municipali in un regime di totale mancanza di concorrenza e di intercambiabilità. Costituito da una numerosa clientela autoreferenziale che si autoelegge blindando i collegi elettorali. Essi promuovono gare d'appalto su società e ditte che spesso hanno per amministratori loro stessi, in un boa costrictor  che si autoalimenta ingrassandosi. Dopo Tangentopoli e Bankopoli, avremo Cooperativopoli? E' quel che stiamo aspettando. Nulla è eterno, nemmeno muri e muretti regionali.
Perciò TEAR DOWN THE WALL !  Ovvero, che il muro sia abbattuto!

08 January 2006

La visita di Violante a Nassiriya: fu prova tecnica di governo?

Tra gli episodi a cavallo del 2005 e del 2006, merita una nota speciale la visita di Capodanno di Luciano Violante ai nostri soldati giù a Nassiriya - visita bipartisan con il presidente della Camera Casini e col generale Ramponi di AN. Violante non è certo un campione di simpatia (almeno per me). Con quella faccia seriosa da chierico vagante -  con l'espressione di chi si sente portatore di chissà quale "superiorità morale"... Inoltre i magistrati che lasciano le toghe (rosse)  per abbracciare un partito (rosso anche quello), francamente mi destano sospetti. Casini era vestito con giubbotto casual; Violante, in giacca e cravatta - segno evidente che la politica estera ( conflitto  iracheno e  missione di peace keeping dei nostri soldati)  è per lui una carta importante. Nel suo discorso ai nostri soldati,  l'on. Violante si è premunito di assicurare loro tutta la solidarietà promettendo che in caso di vittoria dell'Unione, si uscirà dall'Iraq onorevolmente. Per chi sa leggere tra le righe: non subito e con gradualità. Quindi niente bruschi dietrofront alla Zapatero, ma azioni ben ponderate. 
E' curioso come la stampa, quando i DS fanno un'affermazione ovvia e condivisibile si affretti  a spellarsi le mani con plausi e lodi sperticate sulle colonne dei quotidiani. Per aver detto ciò, Violante si è guadagnato in campo,  la nomea di "grande statista", di "nuovo Togliatti", eccetera.  Ed è altrettanto curioso come il mondo dei media   sia per antonomasia il luogo della smemoratezza. L'ultima avvenimento, infatti, è sempre quella che conta. Nessuno, ma proprio nessuno, a ricordargli che l'indomani delle prime elezioni irachene, allorché lo stesso Fassino disse che i veri "resistenti" erano loro, gli iracheni, i quali avevano rischiato di saltare per aria per andare alle urne, alzando al cielo il loro dito con l'inchiostro blu, i DS negarono (incoerentemente)  alla Camera dei Deputati, l'appoggio alla missione di rifinanziamento di peace keeping. Nei fatti, nessuna apertura di credito. In quella, e in altre successive occasioni, i DS si divisero fra chi uscì dall'aula per astenenersi e chi votò invece contro. E allora dove sta  "la solidarietà nei confronti delle nostre truppe"? E' tutta da dimostrare. Anche in TV e nei talk show, (da Vespa e a Ballarò da Floris), Luciano Violante si è sempre distinto per  essersi arrampicato sugli specchi aggrappandosi surrettiziamente ai cavilli al fine di giustificare il suo diniego alla missione.
La visita di Violante a Nassiriya è stata solo una furba mossa preelettorialistica, fatta in extremis per non perdere il treno. Uno spot da strenna di Capodanno. Poi venne la pubblicazione sui giornali della telefonata tra Consorte e Fassino  con  il motto fassiniano "Abbiamo una banca!". Stavo per dire "Habemus Bancam", data la solennità dell'evento.
E allora il sogno di governare, nonostante le prove tecniche di real politik estera a Nassiriya, si allontana. Come insegna il gioco del calcio: non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.