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29 April 2006

L'Appello di Michael Ledeen, Max Boot e altri contro le violazioni di Ahmadinejad

I primi firmatari dell'appello contro l'Iran dei mullah che non rispetta gli obblighi imposti dalla comunità internazionale per il nucleare e crea una rete per cancellare Israele, violando i diritti umani. L'Occidente, a fronte di ciò, non ha una strategia. Tra i primi firmatari:

Martin Peretz, proprietario e direttore di New Republic, pricipale settimanale liberal americano
Leon de Winter, scrittore e commentatore politico olandese
Pailo Cosaca, eruoparlamentare socialista portoghese
Max Boot, analista del Council on Foreign Relations
Norman Podhoretz, scrittore e saggista americano
Michael Ledeen, analista americano dell'American Entreprise Institute
Mark Palmer, ambasciatore e saggista americano
Thomas Cushman, direttore del Journal of Human Rights (magazine liberal) e docente di sociologia al Wellesley College
Mtthias Kuentzel, saggista e analista politico tedesco
Stephen Pollard, commentatore politico del Times di Londra
Benny Peiser, antropologi della Liverpool John Moores University
David B.Kopel, direttore delle ricerche all'Independence Institute del Colorado
Nile Gardiner, analista dell'Heritage Foundation.

Ecco il testo dell'appello:

Oggi la Repubblica islamica dell'Iran costituisce la minaccia più grave per la comunità mondiale. Non passa un giorno senza un atto di sfida lanciato dalla leadership iraniana che tratti delle sue ambizioni nucleari e delle sue minacce di guerra all'Occidente. Gli appelli alla distruzione di Israele proclamati dal presidente Mahmoud Ahmadinejead sono così frequenti che la stampa non ne dà quasi più notizia. "E' soltanto questione di un relativismo colmo di pregiudizi", afferma la mullahcrazia di Teheran, e la comunità mondiale s'inchina, intrappolata nell'incessante sforzo di trovare una giustificazione a queste parole. L'Iran sta deformando il mondo in cui viviamo con le minacce e le intimidazioni, e l'Occidente non reagisce.Preoccupata di assumere una posizione precisa, la comunità internazionale si nasconde dietro a dettagli tecnici. Dopo tre anni di inutili negoziati, la diplomazia continua a fare lo stesso gioco del bastone e della carota, sperando che alla fine la tempesta finirà. Altri vorrebbero placare la furia del regime iraniano con un grand bargain, un grande patto, come se i mullah fossero degli interlocutori affidabili, anzi, degli interlocutori tout court.
Nel frattempo, l'appello della maggioranza iraniana, messa a tacere con la forza, è dimenticato e sacrificato all'altare del realismo politico. Anche l'Iran ha i propri Sacharov e Solgenitsyn rinchiusi in carcere, ma nessuno se ne preoccupa. Per i cosiddetti pragmatici, i diritti umani e la democrazia degli iraniani sono un'ispirazione romantica che deve essere subordinata alla realtà della politica di potenza. Al contrario, ciò che i fatti concreti dimostrano, è che al regime iraniano non può essere data fiducia. Questa non è una questione che può essere risolta attraverso una controversia sul livello di arricchimento dell'uranio e sulle centrifughe utilizzate: non si può posticipare ancora una schietta discussione sulla natura e sull'urgenza della minaccia iraniana.
da il Foglio di venerdi 28 aprile 2006


27 April 2006

Nassiriya fa rima con cabina di regìa

Cabina di regìa tutta italiana, naturalmente. E questo non perché lo dice Cossiga ("Milano chiama, Nassiriya risponde") ma perché lo scrive da sempre Magdi Allam sui suoi articoli come sui suoi libri. Ma ricapitoliamo. 12 novembre 2003: 19 morti. 27 aprile 2006: 4 morti più un ferito gravissimo che sta lottando tra la vita e la morte. Tre di questi quattro, sono carabinieri italiani, di cui sono già  stati comunicati nomi e generalità varie alle famiglie. Un altro dei 4, è un caporale romeno. Esplosione dei loro veicoli mentre si apprestavano a raggiungere il turno di servizio per l'addestramento militare degli iracheni all'Operation Center. Cordoglio e commozione intensa per le vittime. Ma non perdiamo la testa e analizziamo.
Allam ha spesso parlato di una "zona grigia" dell'area noglobal e del Campo Antimperialista di Moreno Pasquinelli, contigua a rapitori iracheni e a terroristi, i cosiddetti "resistenti" (come vengono chiamati dagli ultrà, ma non solo). Questo si evidenziò durante il video nel quale il nostro Fabrizio Quattrocchi chiese se poteva togliere lo straccio che con cui lo avevano incappucciato. "Neanche per sogno!" fu la risposta di un sequestratore  data in ottimo italiano. Sui bombaroli del 12 novembre Nassiriya, processati dal giudice Forleo è cosa nota. Il verdetto fu quello di "resistenti" e oltre al danno gravissimo, anche l'atroce beffa.
Ma c'è una nuova questione assai preoccupante che ci fa meditare. Come mai non c'è stato alcun attentato preelettorale?
Semplice. Perché a differenza dell'effetto "madrileno", le bombe terroriste fatte esplodere qui da noi alla vigilia delle elezioni, avrebbero ottenuto l'effetto contrario: non certo quello di mandare al governo la sinistra, ma di riconfermare la CdL e Silvio Berlusconi. Per questo nessuno ha osato tirargli la volata.
 
Ora invece la sinistra ha vinto. Sappiamo come. E assistiamo già alla deberlusconizzazione progressiva del Paese. A cominciare dallo squallido repertorio messo in atto durante il 25 aprile con insulti e ingiurie pesantissime contro la Moratti nonché i berci contro la brigata ebraica.Ma l'esecutivo non c'è ancora e Bertinotti ha fretta. Prodi pure. Si preme su Ciampi, il quale aspetta l'insediamento del nuovo Presidente della Repubblica. E allora che succede? LA BOMBA!
Fatta esplodere ovviamente per cancellare quel lembo di territorio iracheno civilizzato che i nostri soldati hanno saputo portare con sé, grazie alla loro azione di generosa assistenza alla popolazione bisognosa.
Ma anche con altri due obiettivi atti a condizionare la politica postelettorale nell'immediato:
 
a) creare subito un esecutivo anche senza l'insediamento del nuovo Presidente della Repubblica eletto.
b) condizionare in fretta e furia il ritiro immediato del nostro contingente militare senza attendere i tempi previsti  di fine settembre e  cancellare, così, la politica estera del governo precedente.
 
Dunque si tenta di screditare la nostra missione di peace keeping. E già gli effetti non tardano a farsi attendere. Pecoraro Scanio, ha già detto la sua: a casa tutti e subito! Idem Bertinotti. Si attende il resto del teatrino tra poche ore...
 
 
 
 

26 April 2006

Letizia Moratti e la Liberazione sequestrata

Quello che è avvenuto ieri durante il corteo milanese del 25 aprile è semplicemente oltraggioso e bene ha fatto Galli della Loggia a sottolinearne la gravità sul Corriere. Il ministro uscente della PI Letizia Moratti spinge la carrozzella con un povero anziano padre disabile, reduce da Dachau e Medaglia d'Argento (più resistente di così!),  ma immedatiamente al suo passaggio arrivano fischi, contestazioni e scritte "Milano ti ripudia". Poi i soliti delinquenti senza cervello e senza cuore, se la sono presa con le solite bandiere israeliane, colpevoli di avere la stella di Davide azzurra in mezzo al drappo. Non mancava inoltre la solita "racaille"  che berciava  "10. 100. 1000 Nassiriya".  Sul palco Prodi è stato inefficace e col ventre molle almeno quanto la sua molle pappagorgia. Come pure l'ex Prefetto Bruno Ferrante. Ha ragione Galli della Loggia: smarcarsi blandamente a parole non basta più. Ci vuole altro per pacificare il Paese!
Chiariamo una volta per tutte un fattore basilare: alla Resistenza e Liberazione non hanno partecipato solo i "rossi" e  se fossimo un paese civile dovrebbe sventolare, per decreto legge,  solo il Tricolore, simbolo di unità e ritrovata pacificazione nazionale. Le forze del CNLAI (il comitato di Liberazione dell'Alta Italia) furono composte da : liberali, repubblicani, azionisti, cattolici, socialisti e comunisti. Che cos'è, dunque,  questo penoso TRUST, questo monopolio esclusivo che i comunisti pretendono di fare della Resistenza? Forse che Ugo La Malfa era comunista? O Ferruccio Parri era comunista? O i fratelli Carlo e Nello Rosselli due liberali assassinati dall'Ovra fascista, erano comunisti? O Piero Gobetti (intellettuale liberale anche lui) era comunista? O Alcide De Gasperi era comunista?O Don Minzoni e Don Sturzo erano comunisti?
 
Nessuno nega né vuole negare il contributo che i comunisti diedero alla lotta per la Liberazione, ma è ora di uscire da questa eterna dittatura cromatica (e non solo)  dei drappi rossi, dei fischi e del teppismo delinquenziale delle minoranze facinorose che scippano la libertà e la Liberazione alla maggioranza degli Italiani. E come si osa svillaneggiare gli uomini di centrodestra se poi il giorno del 25 aprile non si fanno vedere in giro? Chi mai può essere così masochista da rischiare di ricevere spranghe in testa, sassi o fischi e insulti in nome di non si sa bene quale democrazia, libertà e Liberazione?
La mia proposta è l'emanazione di un DPR che obblighi TUTTI gli italiani a sfilare educatamente in corteo col tricolore da qui ai 25 aprile prossimi venturi. E basta. Vorrei inoltra sottolineare un'ultima cosa: le bandiere dell'Italia dei valori di Di Pietro sono state accettate senza contestazioni. Di Pietro proviene dal MSI, cioè dai neofascisti della fiamma tricolore. Come mai che la sinistra non glielo ricorda mai e che lo ha cooptato con disinvoltura nelle sue file?
 
La RISPOSTA l'ha data la splendida Oriana Fallaci, ex staffetta partigiana e figlia di antifascisti della prima ora, scrivendo che quello tra fascisti e comunisti è un derby tutto giocato in casa che ci procurò lutti e sciagure a non finire. Gli uni hanno avuto bisogno di legittimare il loro potere, grazie agli altri, regalandoci in bel ventennio che sappiamo. Gli altri hanno funestato metà del globo per un secolo, scippando la libertà e la democrazia a intere moltitudini del pianeta. Spesso c'è stato un travaso di sangue dall'uno all'altro campo e sinergie conniventi nei due campi. Ex-repubblichini sono oggi diventati ultrà di sinistra come Dario Fo. O da missini, sono diventati trasformisticamente girotondini come Di Pietro. Chi si somiglia si piglia, si cerca, si ama, si odia per poi rimettersi insieme.
Ma la vocazione totalitaria è sempre quella e mi fa venire in mente i versi di una celebre canzone di Jacques Brel:
Et quand vient le soir et le ciel flamboie/ le rouge et le noir ne s'opposent-ils pas.../  (e quando viene la sera e il cielo fiammeggia, il rosso e il nero non si mettono in opposizione). Mi auguro che questa buia notte dell'umanità non debba mai scendere. Ma l'appoggio dei "rossi" a Saddam Hussein, a Bin Laden inalberato in alcuni cortei noglobal come un novello Che Guevara, ad Hamas e a Milosevic (prima comunista e poi nazionalista-serbo etnocida), mi fa semplicemente venire i brividi. E contro l'esiziale gioco d'azzardo del rosso-nero-rosso dobbiamo combattere strenuamente.
 

21 April 2006

Il Domenicale:anche a destra serve leggere Gramsci

"Avrei potuto scrivere questo pezzo ancora prima di conoscere l'esito elettorale. D'altronde gli errori che il centrodestra ha commesso in campo culturale sono errori che non avrebbe dovuto commettere sia in caso di sconfitta (come è accaduto) che in caso di vittoria (come purtroppo non è stato). E sono errori che il Domenicale ha evidenziato costantemente ogni settimana in questi 5 anni di lavoro.
La cosa più grave non sono i singoli casi, bensì la mancanza in generale, di un'adeguata politica culturale per creare quel consenso vitale alle riforme, quel consenso indispensabile per ottenere la rivoluzione liberale che si preconizzava nel 1994 eppoi nel 2001.

Dire che ci vuole Gramsci, cioè che è necessario un progetto gramsciano anche nel centrodestra, cioè che solo attraverso la cultura può realizzarsi una vera rivoluzione, non è azzardato. Non significa rinnegare la nostra idea liberale imponendoci metodi illiberali. Proprio la nostra ingenuità liberale ci ha condotti al disastro, lasciando che vincesse ancora la menzogna dell'egemonia postcomunista. Quando si è trattato di scegliere uomini, dare prebende, incardinare esperti nei vari settori della cultura ci siamo comportati da ingenui liberali: abbiamo espresso la nostra giusta propensione alla libertà, soprattutto cercando di non imporre i nostri uomini. E così abbiamo finito per omaggiare i soliti: o vecchi arnesi incapaci e ormai scialbi di pensieri nuovi che da sempre succhiano la mammella del potere, o giovani allevati alla scuola della vecchia egemonia. E così pensavamo di aver fatto bene - pensavamo perfino che gli altri ci avessero riconosciuto la nostra liberalità.

Non abbiamo però mai badato ai risultati: nell'informazione, nell'arte, nel cinema, nella scuola, nelle università, nelle fondazioni, negli enti musicali, nelle case editrici.
Sui risultati avremmo dovuto essere liberali davvero, facendo in modo che non si sostituisse la vecchia egemonia con una nuova (imporre un pensiero è sempre disdicevole), bensì che accanto alle vecchie incrostazioni nascessero nuovi pensieri nell'arte, nel cinema, nella scuola, nella storia, nell'informazione, nella televisione.

Avremmo dovuto, pur nell'individualismo che spesso ha contraddistinto il pensiero di destra, creare reti, luoghi di incontro, giornali, riviste, dare ai giovani spazi di crescita, prevedere percorsi, finanziare ricerche, e perchè no, carriere. Un compito che spettava alla politica. Poiché se è vero che non spetta alla politica creare geni (anzi, i geni nascono quasi sempre per avversità alla politica e ai regimi), spetta però alla classe politica creare una nuova classe dirigente; creare le condizioni (visibilità, opportunità e diciamolo senza pruderie, soldi), perché una nuova classe intellettuale possa finalmente liberare l'Italia dalle pastoie di un'egemonia culturale stucchevole. E invece il Centrodestra ha fatto il contrario:

Non ha puntato sui giovani
ha omaggiato i soliti noti lesti nel voltare gabbana.
si è spesso affidato ai peggiori adulatori e ha lasciato vivacchiare le poche buone iniziative nate controcorrente rispetto al generale disinteresse".
Angelo Crespi (direttore del settimanale di cultura Il Domenicale)

Alla sottoscritta, non resta che sottolineare quel che ha già scritto nei vari post sottostanti: se cultura, educazione, istruzione, informazione, ricerca scientifica, arte, cinema, letteratura, editoria, televisione e buoni programmi, non vengono presi saldamente in mano, se non ci si adopera per ottenere dei risultati, non si costruisce alcun consenso, alcuna "pubblica opinione" favorevole a una vera rivoluzione liberale.Se non si costituiscono delle "università parallele" a quelle istituzionali per la formazione e crescita dei nuovi quadri politici, avremo Cicchitto forever, o un Bondi for President. Nel migliore dei casi, ci toccherà finanziare da parte del MInistero i suoi stessi detrattori a suon di milioni. Questo già avviene ed è avvenuto nel cinema, potente macchina che fabbrica consenso "de sinistra" coi denari del centrodestra.
Per ciò che concerne i quotidiani di destra, bisognerebbe trovare una linea editoriale inclusiva, in luogo di farsi le scarpe l'un l'altro e concorrenza in modo dispersivo come primedonne un po' inacidite. (Nessie)

12 April 2006

Le Monde osteggia il classicismo del '900 italiano: "E' arte fascista!"

Anche quest'onta ci tocca sopportare dai francesi e dal loro piccolo, ottuso, crudele e angusto Le Monde, quotidiano di area socialista. La nostra bella mostra non è ancora sbarcata a Parigi che già c'è stata l'alzata di scudi contro pittori del calibro di un Giacomo Balla, di un De Chirico e di un Carrà : arte imperial-fascista, la chiamano già con disprezzo. Ma almeno l'avete vista, criticonzoli dei miei stivali? E lo sapete o no che Balla è esposto e conservato con cura al Lingotto e che fu amato dall'avv. Giovanni Agnelli, il quale forse di affari non se ne intendeva, ma di arte, di senso estetico (comprese belle donne) ne aveva molto più di voi? Ma no, le tout petit monde di Le Monde insiste come un povero Oblomov, il ministro staliniano: "Quell'arte è fascista!"
E rimpiange la diserzione di un Guttuso dalla collezione. E che ci azzecca Guttuso con questa rassegna? Ma guarda un po' che c'è da rimpiangere: un noto esponente del realismo socialista con tanto di cortei operai e di pugni chiusi raffigurati nelle sue opere: una vera palla! E non un Balla, che evidentemente è altra cosa.
La mostra ITALIA NOVA, un'avventura nell'arte italiana, fino al 31 luglio al Grand Palais di Parigi e curata da Gabriella Belli, raccoglie opere del Novecento italiano da Balla a De Chirico, da Savinio (fratello del più famoso Giorgio, ma tutto da riscoprire) a Carrà e Boccioni. Da Morandi a De Pisis e Sironi. La rassegna s' incentra in particolare su due momenti topici: la dimensione innovativa del futurismo e il classicismo di ritorno, laddove classico e moderno non sono più in antitesi tra di loro.
"Italia nova" è dunque una scelta coraggiosa, al limite della provocazione, che forse proprio per questo, ha suscitato immediate polemicuzze velenose e aspre diatribe intellettualoidi già prima dell'inaugurazione stessa: "superficialità" dicono i cervelloni di Le Monde, "revisionismo" (che parole originali!) secondo la più trita equazione: "classicismo imperiale uguale arte di regime". La curatrice Gabriella Belli, parla di un attacco premeditato da parte di Le Monde, il quale per voce del suo critico Philippe Dagen, ha giocato sadicamente (e con estrema ignoranza) con il sottotitolo della mostra trasformandolo da "avventura" in "una disavventura dell'arte italiana".
Per fortuna esistono in Francia molti altri critici che non la pensano così. Come il sublime Jean Clair, autore di tre testi-chiave contro il relativismo estetico: "Critica alla modernità" "Medusa, l'orrido e il sublime nell'arte" e "De Immundo". (De Chirico incarna in modo esemplare l'immagine di una modernità come progetto incompiuto in cui i fantasmi anticheggianti che sono all'origine della sua arte, si uniscono ad una coscenza del presente realmente "profetica". La sua ossessione del passato, il suo attaccamento alla cultura classica, la sua nostalgia di un locus patriae, si accompagnano ad una proiezione nel tempo che gli permette di elaborare fin dal 1910, un universo che non solo sul piano formale è "rivoluzionario" ma che precede sul piano iconografico, di quindici anni il surrealismo . ( Prima op. cit pag. 151).
E aggiungo io più modestamente, se ancora oggi ci affascina è perché il sentimento romantico del ritorno alla Patria perduta dell'infanzia, si accompagna al mondo labile della "non-permanenza", tipica del catastrofismo postmoderno dell'era tecnologica: l'incontro impossibile tra il colonnato greco e la ciminiera.
Ma cosa vogliamo aspettarci dal beau monde di Le Monde, giornale ottusamente e provincialmente politically correct? Basta ricordare che è stato quello stesso giornale che ospitò i deliri paranoici di Antonio Tabucchi (considerato grande scrittore, solo perchè scrive per L'Unità) contro Giuliano Ferrara nell'articoletto "Fatwa à l'Italienne" del 10 ottobre 2003, negando a Giulianone il diritto di replica (sì, le droit de réponse di voltairiana memoria) per potersi difendere dalla calunnie e corbellerie contenute nel pezzo pubblicato, e inaugurando dunque (caso unico nella stampa d'Europa) il giornale di chi ascolta una campana sola. A martello, s'intende. Anzi, a falce e martello.
Ma torniamo a "Italia nova". Una mia previsione? La mostra sarà un successo inaudito di pubblico.Ma anche di critica intelligente e non schierata. E ancora una volta "la Bellezza salverà il mondo" (Dostoevskij). Io mi accontenterei che salvasse l'Italia e la Francia dagli imbecilli e dagli incompetenti dottrinari. Non è poco. (Nessie)

11 April 2006

Il voto? Né chiaro né netto, caro Fassino

Mentre scrivo i risultati del voto non sono stati ancora TUTTI scrutinati: mancano i voti degli Italiani all'estero. Quei nostri compatrioti che spesso scappano lontano perché ne hanno fin sopra i capelli della sindacatocrazia sinistrese e delle regioni rosso-bulgaro che di fatto governano il feudo-Italia in luogo di una vera Repubblica. Tuttavia, cantano ugualmente la loro risicata vittoria di Pirro, i compagnucci. C'è poco da cantare! Il voto non è né chiaro né netto, così come pontifica Fassino.  Ecco allora perché la sinistra non esce a testa alta da questa consultazione elettorale.
  1. Perché ha organizzato la sua campagna all'insegna del solito "antiberlusconismo" livoroso e una consultazione elettorale non è un referendum.
  2. Perché la sinistra ha chiuso un occhio e anche due, nei confronti dei violenti e dei facinorosi della guerriglia urbana e di ciò non è stata premiata.
  3. Perché aveva al proprio interno delle candidature in odore di impresentabilità come Hamza Piccardo dell'Ucoii con il PdCi di Diliberto e Caruso, Luxuria e Ali Rashid per Prc.
  4. Perché tutti i poteri forti (Confindustria e Fiat, Corsera, Banche ecc.) erano contro Berlusconi e questo ha ricompattato metà dell'opinione pubblica italiana.
  5. Perché ha usato  la cultura/spettacolo (anzi, la sottocultura e l'avanspettacolo) come Moretti e il suo Caimano per fare propaganda politica elettorale in sfregio a quella par condicio che pretende dagli avversari.
  6.  Perché oramai i mass-media ufficiali come il Corriere (sempre più CorServa) e le altre testate italiane non sono più in grado né di influenzare l'opinione pubblica né di interecettarne gli umori. Idem per gli exit-poll e i sondaggi.
  7. E perchè esiste la controinformazione dei Blog e di Internet per reperire "quello che i giornali non scrivono".
Perciò il voto non è né chiaro né netto, caro il mio Fassino. Non ne vedo la chiarezza né la nettezza. Solo "nettezza urbana". Cioè impresa di pulizie contro la spazzatura. La vostra.

07 April 2006

Perché la sinistra non chiama la Legge Biagi col suo nome

L'hanno promesso. Se vinceranno aboliranno la Legge Biagi. Speriamo di no, che non vincano. Ma è inutile far finta di non sapere che la loro vittoria potrebbe comportare un'operazione di "deberlusconizzazione" totale. Qualcuno aggiunge già "totalitaria". 
Fini si chiede come mai la sinistra si ostina a chiamare la Legge Biagi, Legge 30, senza fare menzione del nome del professore assassinato il 19 marzo del 2002 dalle BR, mentre rincasava con la sua bicicletta nel suo appartamento di Bologna.
 
Io credo che Fini lo sappia benissimo. Ma nel caso non lo sapesse glielo diciamo noi. Perché, dal momento che la sinistra vuole eliminarla, si predispone già sul piano linguistico, a edulcorare la sua operazione abolizionista. Se dovesse dire a chiare lettere: "Noi elimineremo la Legge Biagi" la cosa avrebbe uno strano suono metaforico: un po' come se il povero giuslavorista e collaboratore del Ministro del Welfare Maroni, venisse fatto fuori due volte. Così, invece, detta alla Bertinotti, Legge 30, sa molto di sindacalese. Quel sindacalese impersonale, burocratico e demagogico a cui siamo avvezzi da molti - da troppi anni.
 
Ma c'è un altro strano senso di colpa della sinistra specie negli ambienti sindacali più oltranzisti: l'aver osteggiato con ogni mezzo quella legge-delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, tacciando il suo ideatore di "traditore" poiché Marco Biagi, uomo della sinistra riformista credette così tanto nel suo progetto da volerlo proporre comunque a un  Governo di colore diverso.Tutti ricorderanno la livorosa campagna anti-Biagi di Sergio Cofferati, per ironia della sorte, attuale sindaco nella città del Professore assassinato;  e tutti ricordano chi furono quelli che Giuliano Ferrara indicò più volte come "i mandanti linguistici" degli assassini di Biagi.
 
La violenza viene prima ideata, poi scritta, poi fomentata. Quindi da quella verbale  a brandire una pistola, il passo è breve. Dopotutto di trattava di un "traditore", e quindi, secondo le categorie ideologiche di certa sinistra, di un nemico di classe da abbattere. Ragion per cui gli esecutori materiali furono Nadia Lioce, Mezzasalma e i suoi compari. Ma la campagna d'odio scaturì e prese avvio dagli ambienti istituzionali: sindacati, commissioni del lavoro, giornali di sinistra come l'Unità , Liberazione e il Manifesto. Quegli stessi che oggi non vogliono più chiamare il progetto-Legge col nome del suo legittimo autore, ma la chiamano col numero 30. Perché? Semplice, via un numero se ne gioca un altro. E così, dopo che il prof. Biagi ha operato la sostituzione dei vecchi Co.Co. Co (collaboratori cooordinati continuativi, nati sotto il governo dell'Ulivo e che suonano come gallinacci da stia) con il dignitoso Lavoro a Progetto,  si butta alle ortiche la sua fatica, il suo sacrificio professionale e umano, nel nome di non si sa bene quale massimalismo barricadero.
 
Un po' di coraggio "compagni" ipocriti: ditelo chiaro e tondo che volete affossare (stavo per dire riaffossare) la Legge Biagi, nel nome del vostro vecchio reperto ideologico "lo stato borghese si abbatte e non si cambia".
Abbiate, però, la dignità di chiamarla col suo legittimo nome, rinunciando ai trasformismi terminologici e  assumendovi fino in fondo le vostre responsabilità morali.

05 April 2006

Finkielkraut, l'Ue e la sua resa al Jihad nucleare iraniano

La minaccia iraniana incombe ma Alain Finkielkraut, filosofo francese di origine ebreo-polacca, non si fa, come già il suo collega Glucksmann, troppe illusioni circa le prese di posizione europee. Lo ha dichiarato in un'intervista al Foglio di Giuliano Ferrara. Perché? "perché esistono grandi differenze tra le nostre pubbliche opinioni". E a dimostrarlo sarebbe la diversa eco mediatica e di partecipazione ottenuta a Roma davanti all'Ambasciata iraniana durante la grande manifestazione  di protesta per le dichiarazioni antisioniste e antisemite di Ahmadinejad nel novembre scorso,  a fronte di quell'analoga francese. "Mi trovavo a Firenze e assistetti a un dibattito tv tra Rutelli e Fini, i quali pur con sfumature diverse facevano la stessa diagnosi. In Francia, invece, il Conseil des Institutions des Juives, riuscì a radunare a Parigi soltanto poche persone tra l'indifferenza generale". Irenismo, progressismo ed egualitarismo terzomondista formerebbero dunque la miscela tipica del Vecchio Continente.
"L'Ue è nata dalla comune decisione degli stati di interrare l'ascia di guerra. NON CI COMBATTEREMO PIU' -  decretarono le nazioni europee. Siccome la guerra è sempre  nata dagli stati d'Europa abbiamo difficoltà a capire che avere nemici non dipende soltanto da noi".
 E ancora: "Il progressista è uno che non ha capito l'11 settembre, non si è accorto che quel giorno sono comparse separazioni ben più profonde. Eravamo trascinati dalla passione dell'uguaglianza, della comunicazione, ma gli aerei quel giorno si sono trasformati in armi da guerra per abbattersi contro i simboli del commercio. L'umanità si è trovata di fronte all'impenetrabilità reciproca di due comunità umane. Alcuni però continuano a vedere un'unica guerra, tra dominanti e dominati tra "Impero e moltitudine" - come dice Toni Negri".
 
Ma per Finkielkraut l'idea più perniciosa è un'altra ancora: "E' l'egualitarismo terzomondista che non intende stabilire differenze tra gli stati e sostiene che siccome Israele ha l'arma nucleare, non si vede perché si dovrebbe impedire in Iran di averla. Ma esistono stati-canaglia, stati ideologici. O l'atomica non ce l'ha nessuno, o se ce l'ha qualcuno allora possono averla tutti". E ancora:" Se ammetti che Israele possa avere l'atomica e l'Iran invece no, vieni subito tacciati di razzismo,  almeno in Francia".
Dunque secondo il suo pensiero ciò non sarebbe che l'applicazione automatica di un ideale democratico secondo cui ci si rifiuta di stabilire differenze tra stati e stati in nome dell'uguaglianza d'ogni essere umano. (riassunto da Il Foglio)
 
Problemi aperti:
 
1) La Francia ha importato attraverso la dottrina Mitterand la peggior teppaglia politica dall'Italia: Toni Negri, Cesare Battisti, Piperno, Oreste Scalzone e numerosi altri. Costoro non sono certo stati fermi e con le mani in mano durante il loro dorato esilio francese,  facendo propaganda antiamericana, antiisraeliana e antisemita a gogò.
2) La Francia ha avuto una migrazione selvaggia della prima, seconda e terza generazione dai paesi del Maghreb e le banlieues sono brodo di coltura del razzismo, tribalismo e antisemitismo (si veda il recente caso di Ilan Hariri e il suo feroce assassinio).
3) Il nazionalismo e l'assimilazionismo francese alla République vuole far credere di poter controllare i flussi migratori, ma ciò si è rivelato fasullo e mendace. Al contrario si sono sviluppate le politiche sociali e paternaliste dei sussidi che hanno incentivato fannullonaggine e violenza nelle periferie.
4) Non dimentichiamo che Chirac è stato eletto coi voti determinanti della gauche francese contro Le Pen (la honte - la vergogna)
 Pertanto è debitore alle sinistre e alla CGT. Per questo finisce con l'esserne ostaggio, fenomeno a cui assistiamo anche in  questi  giorni durante la protesta studentesca: pur di rimanere a galla, scaricherebbe anche i suoi. E lo farà. (Nessie)

01 April 2006

Ayan Hirsi Ali, non sottomessa al comunislam

Io penso che il profeta Maometto ha avuto il torto di ergersi, lui e le sue idee al di sopra di ogni pensiero critico.

Io penso che il profeta Maometto ha avuto il torto di subordinare le donne agli uomini.

Io penso che il profeta Maometto ha avuto torto di decretare che bisognava assassinare gli omosessuali.

Io penso che il profeta Maometto ha avuto torto di dire che bisognava uccidere gli apostati.

Aveva torto di dire che le adultere vanno frustate e lapidate, che ai ladri si debba tagliare le mani.

Aveva torto di dire che chi muore per la causa di Allah va in paradiso.

Aveva torto nel pretendere che una società giusta poteva essere edificata solo sulle sue idee.

Il Profeta faceva e diceva buone cose. Incoraggiava la carità verso gli altri. Ma sostengo che fosse irriguardoso e insensibile con quelli che non erano d'accordo con lui.
Penso che sia bene fare disegni critici e film su Maometto. E' necessario scrivere libri su di lui. E tuttò ciò per la semplice educazione dei cittadini. Io non cerco di offendere i sentimenti religiosi altrui, ma non posso sottomettermi alla tirannia.
Esigere che gli uomini e le donne che non accettano l'insegnamento del Profeta s'astengano dal disegnarlo, non è una domanda di rispetto, è una domanda di sottomissione.
Io non sono la sola dissidente dell'islam, ce ne sono molti in Occidente. E se non dispongono di guardia del corpo, devono lavorare sotto falsa identità per proteggersi dalle aggressioni. Ma ce ne sono molti altri a Teheran, Doha, Riad, Amman e al Cairo, come a Kartum, Mogadiscio, Lahore e Kabul.
I dissidenti dell'islamismo, come quelli del comunismo di un tempo, non hanno bombe atomiche né nessun altra arma. Non possiedono i denari provenienti dal petrolio come i Sauditi e non bruciano ambasciate né bandiere. Ci rifiutiamo di imbarcarci in una folle violenza collettiva. Del resto, siamo troppo pochi e troppo dispersi per diventare collettività.Qui in Occidente, dal punto di vista elettorale, non contiamo nulla.
Noi non abbiamo che le nostre idee e non chiediamo che la possibilità di poterle esprimere. I nostri nemici impiegheranno, se necessario, la violenza per farci tacere. Utilizzeranno la manipolazione, fingeranno d' essere mortalmente offesi. Diranno ovunque che siamo esseri mentalmente labili per impedirici di venire presi sul serio. Tutto ciò non è una novità: i partigiani del comunismo hanno largamente impiegato questi metodi.
Berlino è una città all'insegna dell'ottimismo. Il comunismo ha fallito, il Muro è stato abbattuto. E anche se oggi le cose sembrano difficili e confuse, sono certa che il muro virtuale tra gli amanti della LIbertà e quelli che soccombono alla seduzione e alla comodità delle idee totalitarie, questo stesso muro, un giorno sparirà. (Ayan Hirsi Ali, da Le Monde del 15-2-06)
Questo stralcio da me tradotto in Italiano, dal discorso di Ayan Hirsi Ali (di origine somala e membro del Partito Liberale VVD d'Olanda) invitata a parlare il 9 febbraio u.s. a Berlino durante "l'affaire vignette", ha per titolo "Sono una dissidente dell'islam", e mette assai bene in raffronto le analogie fra il totalitarismo islamista e quello comunista. Di grande valore simbolico, visto che Ayan lo tenne proprio nella città del Muro della Vergogna. L' Occidente aiuti Ayan e quelli come lei ad abbattere i nuovi muri : reali e virtuali! Aiutando tutti quelli come lei, aiuteremo anche noi stessi.