Non faccio mai copiaincolla, ma questa volta invito tutti i lettori di questo blog a leggere ( o a rileggere) per intero il pezzo di Ida Magli "L'acquisto del territorio italiano" dove esorta espressamente gli uomini del nuovo governo insediatosi , a non cedere pezzi della propria terra ad acquirenti stranieri in nome dell' ingannatoria "libertà di mercato".
This Land is my Land - cantava Woody Guthrie in una famosa canzone popolare americana. Ma almeno gli Americani hanno scritto nella loro carta costituzionale il legame Land/God ("questa terra me l'ha data Dio"). Noi invece abbiamo la socialcomunista enunciazione: "L'Italia è una repubblica basata sul lavoro". Ricordo a chi se ne fosse dimenticato che "Partito del Lavoro" era pure il partito comunista albanese di Enver Hoxha, il costruttore di bunker. E che anche alcuni partiti di ispirazione nazista mettevano la parola "lavoro" nella loro definizione. Quindi la formuletta magica degli immigrati-che-sono-qui-per lavorare è un' altra utopica idiozia socialisteggiante (e attualmente, mercatista e liberal-socialista). Chi è qui "per lavorare" non ha che una aspirazione: fare fortuna e diventare padrone. Ed è comprensibile se fossimo meno stolti da capirlo al volo. Se da un punto di vista legale è giusto e prioritario rimpatriare i clandestini, è errato continuare a sottolineare: clandestini NO, immigrati regolari SI. Clandestini NO, immigrati regolari da regolamentare in quote rigorosissime, dando la precedenza ai lavoratori autoctoni : è questa la vera soluzione. Ma non voglio dilungarmi oltre e passo la parola a Ida Magli, che dopo la caduta del governo Prodi, appare meno pessimista del solito.
N.B: quando la Magli si è soffermata su Roma, c'era ancora Veltroni sindaco. Ora che Alemanno ha ricevuto il mandato al Campidoglio in modo quasi plebiscitario dai romani, che ne faccia buon uso e che non dorma sugli allori. Sporcizia, degrado, campi nomadi da sgombrare, più sicurezza e ripristino della legalità; ma soprattutto impedire che la nostra capitale diventi terra altrui attraverso la vendita (o svendita) di immobili, terreni, negozi ed edifici.
Genova non appartiene più ai genovesi. Il centro storico è stato comprato, un pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani, in maggioranza marocchini e tunisini, e i genovesi vi si sentono ormai stranieri; non osano quasi più attraversarlo, tanto meno passeggiarvi. Le moschee vi pullulano e nessuno può validamente opporsi all'erezione della moschea principale, di faccia al Duomo.
Firenze non appartiene più ai fiorentini. Il centro storico è stato comprato, un pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani e i fiorentini vi si sentono ormai stranieri; non osano quasi più attraversarlo. Ricchissimi "sceicchi" hanno acquistato i palazzi intorno al Duomo, anche quelli abitati da secoli dai discendenti di Dante. Evidentemente il Sindaco non vi ha trovato nulla da eccepire, e adesso ha la soddisfazione di affacciarsi dal suo ufficio slle grida dei venditori e sugli effluvi di aglio provenienti dalle cucine musulmane. I negozi africani vendono ai turisti, sotto il naso dei fiorentini impotenti, borsette di autentico "cuoio fiorentino" conciato in Cina e, malgrado l'estrema battaglia ingaggiata da Oriana Fallaci, le moschee prosperano al pari dei commerci.
Roma non sta meglio. Gran parte del centro, a cominciare dalla Basilica di S. Maria Maggiore fino a Piazza Vittorio e a S. Giovanni, appartiene agli immigrati, soprattutto cinesi e africani (ma a Roma sono presenti quasi tutti i gruppi etnici esistenti al mondo). Comprano tutto quello che possono, convincendo facilmente i proprietari con l'abbondanza di denaro contante che possiedono, senza dilazioni o mutui, cosa che nessun italiano può permettersi. I cinesi, poi, sono silenziosissimi. Non salgono quasi mai alla ribalta delle cronache perché obbediscono, senza osare lamentarsi, ad una disciplina ferrea, lavorando in modo disumano, al di fuori di qualsiasi normativa igienica e sindacale. Quando si ammalano o quando partoriscono ricorrono alle cure di un proprio medico allo scopo di non far scoprire il loro numero effettivo. Ci si accorge della loro presenza soltanto dalla lingua delle insegne. La questione delle insegne dei negozi, del resto, è di per sé indicativa del disprezzo dei Sindaci verso la propria città. Neanche i benemeriti Sindaci di Roma, tanto solerti verso la cultura, hanno ritenuto doveroso imporre ai nuovi padroni almeno l'uso della doppia lingua sulle insegne dei negozi.
E' urgente, dunque, emanare una legge che vieti l'acquisto di terreni, di edifici, di locali agli stranieri (continua)